DELIRIO FILOSOFICO SENZA PRETESE
verbalizzazione di una coazione a ripetere
Ci sono mattine in cui ti svegli con una canzone in mente, quando è così succede poi che te la porti dietro tutto il giorno, non te ne puoi liberare, si tratta delle innocue coazioni a ripetere di cui siamo tutti più o meno affetti.
Stamattina mi sono svegliata con in mente il verso di una poesia di Friedrich Hölderlin: dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva.
Questo verso di Friedrich Hölderlin segna per una “certa filosofia” la via d’uscita al nichilismo, ossia da quel naufragio dell’umanità dove sembra non possa esserci scampo per nessuno, dove l’unico tempo possibile è
quello che conduce alla privazione di se stessi persi nella corsa sfrenata verso non si sa cosa; dove la ricchezza materiale cammina sottobraccio alla miseria morale; dove la mancanza di riferimenti culturali lascia spazio alla bieca arroganza, figlia dell’ignoranza; dove l’opprimente conformismo cementifica lo stratificarsi dell’ipocrisia; dove la ristrettezza degli orizzonti morali glorifica ogni delirio di onnipotenza e la sua bramosia di schiavitù.
Questa in estrema sintesi la filosofia de “la volontà di potenza”, questo il pericolo a cui il nichilismo ci espone e di cui il nichilismo è portatore.
Ma il poeta martella con il suo verso: dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva.
Allora cos’è che salva? Cosa può salvarci? A cosa possiamo fare riferimento? Ecco adesso associo: la poesia e la filosofia, una affasciante coppia in verità.
Il verso di Hölderlin è citato in un saggio di Martin Heidegger “La questione della tecnica” (in Saggi e Discorsi ed. Mursia) in cui il filosofo procede in un’attenta analisi sulla questione della tecnica e della tecnologia e lo fa usando una metafora, perché quando i filosofi sanno davvero cosa pensano trovano il modo per farsi capire da tutti.
Ecco la metafora. Immaginiamo di avere davanti ai nostri occhi una libreria, cosa vediamo ad un primo sguardo? Un mobile fatto di scaffali su cui sono riposti i libri, se ci facciamo caso il nostro pensiero è immediatamente indotto a pensare che “lo stare insieme di quei libri” è determinato dalla struttura che li contiene. Ma se riusciamo a far diventare il nostro sguardo più intenso, se riusciamo a liberarci da ogni precognizione e quindi da ogni tipo di condizionamento, non sarà difficile rendersi conto che non la libreria fa l’essenza di quei libri, essa è solo una cornice di quello stare insieme, l’esistenza di quello stare insieme non è determinata dalla libreria, ma da ogni singolo libro che sta lì, dunque lo stare insieme ha un vero significato solo se ogni singola parte prende coscienza di se stessa. Ecco ciò che salva quei libri, ciascuno di essi costituisce un singolo ed unico progetto per la vita, “un proprio essere nel mondo”, dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva.
La stessa metafora la possiamo applicare agli “apparati” sociali. Ecco questi apparati di qualsiasi tipo essi siano, vivono nella convinzione di tenere insieme gli uomini o sono pensati da alcuni uomini come l’unico motivo per esistere.
Gli apparati nella logica nichilistica trasformano gli uomini in mere funzioni, la loro esistenza è giustificata e giustificabile solo all’interno “del loro stare insieme nell’apparato” non è così, l’apparato distrugge l’essenza, la svilisce, la priva di significato e di dignità. L’apparato non è nulla senza le singolarità, l’apparato si sgretola se le singole unità non hanno coscienza della loro umanità, l’apparato non dona mai agli uomini il loro vero essere nel mondo. L’apparato trasforma l’uomo in oggetto usa e getta, perché l’ulteriore deriva del nichilismo è il consumismo applicato sulla pelle umana.
Si insomma l’apparato non dà nutrimento all’umanità, anzi la vampirizza e questo accadrà sempre finché ci saranno i vampiri coloro che godono nell’essere vampirizzati: dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva.
Allora, per noi esseri per la morte, se il pericolo è la nullificazione, la salvezza può consistere in processi di autoconsapevolezza, perché solo da quello può poi avvenire un vero essere nel mondo e un’unica possibilità dello stare insieme in questo mondo?
Con questa celata domanda si conclude il saggio di Martin Heidegger, perché si sa come sono fatti i filosofi, amano fare domande, sono “curiusiteri”
Dunque attenzione, quando gli apparati si sgretolano, certo la sensazione può essere lo scoramento, la vista delle macerie non è rassicurante, ma non facciamoci prendere dal panico, dalla paura, o come direbbero i filosofi “dallo spaesamento”: i crolli possono essere funzionali, soprattutto adesso che sappiamo che dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva.
Barbara Lottero