tratto da “Diario di un Angioino” opera inedita di Enzo Greco
Aprile 1282
Lasciatasi Palermo alle spalle e indossando solo abiti civili, dopo tre giorni di duro e periglioso cammino, Jean-Philippe raggiunse il Capo Peloro, da dove più breve era il tragitto per Catona.
Migliaia di suoi commilitoni si erano rifugiati lì assieme a Re Carlo che dimorava nel suo Palatium, scacciati dall’isola dai Siciliani e dagli Aragonesi di Re Pietro.
I Vespri sembravano un lontano ricordo, ma il peggio doveva ancora venire.
“Dopo tre giorni raggiunsi lo Stretto e Capo Peloro. La Calabria mi stava davanti. Sembrava quasi la potessi toccare con un dito. Non riuscivo ad intravvedere Catona, giacché stava nascosta dietro il Cenide, ma lo spettacolo che mi si presentava agli occhi era nondimeno sublime. Era come se pagine illustrate di storia mi si dispiegassero all’improvviso davanti.
I miti dell’antichità erano pressoché tutti rappresentati in quel braccio di mare. Quanti scrittori e storici, sin dalla notte dei tempi, si sono cimentati a descrivere le bellezze e i segreti dello Stretto. Quante volte mi hanno tenuto sveglio di notte coi loro scritti nella mia casa di campagna in Picardia. Ed essi ora erano lì di fronte a me. Qual privilegio trovarmi in quel posto incantato.
Capo Cavallo era il promontorio che più degli altri sembrava avvicinarsi a me. Era come un dito di terra che s’allungava sulle rapide acque quasi a chiudere il passaggio alle imbarcazioni dello Stretto. Sembrava mi volesse parlare, tanto era vicino. Se solo Re Carlo facesse costruire una torre di guardia sul suo scosceso pendio si otterrebbe il quasi totale controllo dell’entrata allo Stretto.
Alla sua base, una piccola baia che un tempo dovette fungere da porticciuolo all’entrata dell’Euripe, il Porto Balamo più volte menzionato da Appiano nelle sue Guerre Civili. Delle casette assopite in un sonno millenario davano il benvenuto ai naviganti che entravano e uscivano da quel canale agitato. Non fu forse qui che Ottaviano si mise in salvo, quando, naufrago, temette di raggiungere Peloro in fondo al mare?
[Sesto Pompeo vendette a caro prezzo la propria pelle, sconfiggendo in almeno due circostanze gli uomini di Ottaviano capitanati da Salvidieno Rufo ed Agrippa proprio nello Stretto, prima di soccombere a Nauloco nel 36 a.C.
Riporta infatti Appiano che una delle più sonore sconfitte venne riportata proprio dal Legato di Ottaviano, Salvidieno Rufo, davanti a Columna Rhegina e che lo stesso Navarca si salvò a stento all’entrata dello Stretto riparando presso il Porto Balarum sulla costa calabrese del Fretum (per il dotto Cluverius Balaro e Abalam sono sinonimi)]
Un po’ più in là, una schiera di casette di pescatori formava quel villaggio che i locali chiamano Cannitello, che placido riposava, tremando ancora al ricordo del feroce Annone che tutto l’arse prima di far ritorno a Cartagine nel 214 a.C.
I Cartaginesi si acquartierarono lì presso per tutto il 216, 215 e 214 a.C. e precisamente fra la Punta del Cenide e Cannitello, in quella località che la popolazione locale ricorda ancora come “Cannone” e che ben nascosta sta ai Reggini. Per settimane i Cartaginesi di Annone portarono l’assedio a Reggio, ma nonostante la rabbia e la forza, ogni tentativo fu inutile. Reggio non capitolò.
Prima di far ritorno a Cartagine, Annone mise a ferro e fuoco Columna Rhegina, appiccandole fuoco. E di questo ne parlano parecchi storici antichi.
Un po’ più a sud, Punta del Pessolo, il Capo Cenide degli antichi, ribolliva come sempre di rabbia. Come di rabbia ribollivano, in quel lontano inverno del 72 a.C., Spartaco e ventimila schiavi fuggitivi che da quella lingua di terra cercarono invano di passare lo Stretto, mentre Crasso e i suoi, alle loro spalle, scavavano la fossa più lunga e più larga che si ricordi a memoria d’uomo. Fino alla fiumara di Catona la scavarono, chiudendola con un possente muro. Ma il Cene lo stesso gli scappò!
E ora io, novello Spartaco, ma dall’opposta sponda, in un modo o in un altro, dovevo passare quel mare impazzito. Avrei atteso le prime ore dell’alba per decidere come.
Improvviso ed imperioso si alzò lo scirocco.”
Enzo Greco